TESTO di Chichibio – Gazzetta di Parma
Per la passione del proprio lavoro, per rispetto della funzione dell’oste, per amore degli amici e dall’ospitalità. Che vuole dire incontro, condivisione, scambio di idee e di conoscenza come da loro è sempre stato. Dopo dubbi e incertezze facendo i conti con il logorio di un lavoro duro e impegnativo, con la stanchezza accumulata, il turbamento e la preoccupazione del confinamento, Mariella e Guido hanno deciso di riaprire il loro locale di Fragno, accantonando così l’idea di una chiusura definitiva.
<<Tutto ha un inizio e una fine – raccontano – ma crediamo che non sia ancora il momento. E ripartono con nuova energia, cambiando tutto, con pochi coperti (12-15 al massimo), prenotazione obbligatoria, scelta fra tre menu: della tradizione (40 euro, vini a parte), di terra (45 euro), di pesce <<oltre confine>> (50 euro).
Cuciniere (a ragione, non vuole lo si chiami chef) è Kuni Onuma, giapponese anomalo, talento e sregolatezza (studi di architettura, esperienze in ristoranti giapponesi anche stellati, rispetto quasi religioso per il cibo, amore per l’Italia) da alcuni anni a Fragno, prima con Paco Zanobini, poi con Jacopo Malpeli. Lo aiuta un geometra con diploma Alma, già pasticcere all'<<lnkiostro», di nome Joyce (ma non ha letto <<l’Ulisse>>) e cognome Mazzocchi di Novellara. Così in menu, con possibili variazioni, si trovano prosciutto, anolini, guancialini brasati(tradizione); cappellacci di caprino cacio e pepe, filetto di maiale gigante con crema di fagioli (terra); tagliolini al nero e gambero crudo marinato, branzino con squame e salsa di acciughe (mare). Tutto fatto al momento, con cura, precisione e sapori in primo piano -e questa giovanissima squadra, ridotta e anomala, tra Giappone e provincia reggiana avrebbe forse fatto scuotere la testa a Virgio che poi, senza dirlo e brontolando, avrebbe approvato l’ennesima rivoluzione voluta da sua figlia.
La cantina resta sempre quella, ma niente carta dei vini: saranno Mariella e Guido a consigliarli e questa non è una novità. <<Ci eravamo accorti – raccontano – che nel tempo questo luogo diventava sempre più qualcosa di lontano dalla nostra originaria idea di accoglienza. Non vogliamo più rincorrere problemi per assecondare le leggi di questa assurda e irresistibile passione, ereditata da Virgio, di condividere, attorno a una bottiglia o a un piatto, la vita a e i pensieri di amici o futuri amici o fugaci comparse. Quella che era l’osteria di famiglia è diventata una cosa molto più complicata: vini sempre più difficili da trovare, cucina più curata ma delegata completamente ad altri, clienti diversi ma molti dei quali con l’obiettivo del convivio, ma alla ricerca di un’esperienza gastronomica.
Noi non vogliamo essere questo, vogliamo essere un luogo di approdo dove ascoltare e raccontare storie e esperienze, dove ci si confronta, si mangia e si beve, ci si arricchisce conoscendo prodotti agricoli, vignaioli e magari, in serate particolari e dedicate, scrittori e musicisti, artisti e poeti. Cibo e vino sono cultura, le prime forme di cultura secondo gli antropologi, e il loro posto non è entro logiche competitive o in gare a chi è più bravo, ma entro dinamiche di condivisione e solidarietà, di amicizia e fratellanza.
Dopo 35 anni di osteria -dice Mariella- dove sono nata, cresciuta, dove ho salvato e poi vissuto la mia vita, dove io e Guido abbiamo imparato quello che sappiamo, vorremmo ora ritrovare lo spirito originario dove l’oste dà quel che può e riceve altrettanto, perché vorremmo che questo fosse ancora un luogo che serve a noi e a chi viene da noi>>.